CICLISMO04/08/2023
Glasgow, Bettini è pessimista sull'Italia: "Inutile nascondersi, il movimento è in crisi"
L'iridato 2006 e 2007: "Mancano le grandi squadre e i dilettanti non imparano a fare i professionisti, è tutto da rifondare".
Sport Today
La lunga chiacchierata con 'OASport' non è per Paolo Bettini solo l'occasione per 'lucidare' i trofei vinti in Maglia Azzurra (una Olimpiade e due Mondiali tra il 2004 e il 2007), poi diretta dall'ammiraglia (tra il 2010 e il 2013, Pozzato e Nibali finirono al quarto posto), ma anche per strigliare un movimento che ha ormai toccato il fondo.
"Guarderò il Mondiale con gli amici certo, ma adesso che sono fuori se perdo una corsa non ne faccio un dramma; Glasgow non è un circuito piatto come lo dipingono, mi ricorda Madrid 2005: Boonen si impose in una volata a 25. E' lungo 272 km, pare disegnato per gli uomini da classiche: van Aert (il mio favorito, è uscito alla grande dal Tour de France, ma ha conservato qualche energia e sarà spalleggiato da Evenepoel, poi essere diventato ancora papà metterà al belga le ali), Pogacar, appunto Evenepoel (scatenerà la bagarre da lontano)" racconta uno dei più gloriosi cacciatori di classiche negli Anni Duemila.Italia dietro la lavagna, ma è un intero iceberg da giudicare, non solo la punta di un iceberg con orizzonte iridato: "La Maglia a Pois di Giulio Ciccone è una magra consolazione, paghiamo poi la fesseria dell'UCI: si parla di ciclismo multidisciplinare e obblighi un atleta come Filippo Ganna a rinunciare al Mondiale su strada; le convocazioni di Daniele sono funzionali a un certo tipo di gara che ha in mente, da esterno mi domando se non avrebbe fatto comodo uno come Diego Ulissi, ma conosco le difficoltà del suo ruolo e un tecnico deve creare il gruppo migliore possibile. Da noi mancano le grandi squadre: per questo non forgi nei dilettanti il professionista. Mi spiego: ai tempi su cinquanta ragazzi che passavano professionisti otto-dieci galleggiavano e due-tre avevano successo; adesso piazziamo a fatica giovani nelle squadre straniere, il nostro dilettantismo, come ha indicato il Giro Next Gen, riprende schemi triti e ritriti. Si manda gente in altura scimmiottando le squadre pro, poi i ragazzi si attaccano alla macchina sullo Stelvio e sono squalificati: ds come Fusi, Locatelli, Massini non l'avrebbero permesso, né insegnato. La Federazione non ne ha tratto la giusta lezione: i ragazzi non amano la fatica, vivono sui social, dove conta apparire. Tornerei nel ciclismo sono per un progetto decennale..".