NBA18/03/2021
E' tutta questione di profondità
In NBA paga il roster lungo.
Sport Today
Quest’anno più che mai, in NBA, è e sarà una questione di profondità del roster. Una rotazione da dieci, viste le ultime mosse di mercato, potrebbe non essere sufficiente per arrivare fino in fondo e tentare di disarcionare i Lakers. Ovviamente non basterà solo questo aspetto, perché, senza almeno due stelle, puoi essere lungo e profondo finchè vuoi, ma la differenza…non la fai. Tra le squadre che se la stanno giocando per esserci all’atto finale, con il problema della lunghezza, ma anche della qualità della panchina, Milwaukee è forse quella che può aiutarci più di tutte le altre a spiegare meglio il concetto.
L’anno scorso i Bucks hanno fallito (da favoriti) in maniera clamorosa l’approdo al titolo, sgretolandosi in un amen nella bolla di Orlando. Era capitato anche nella stagione precedente che, una volta arrivati ai playoffs, Giannis e soci avessero finito la benzina con largo anticipo. Proprio per l’uscita di scena del 2019 e per come era maturata, Milwaukee aveva allungato la panchina, portandosi a casa dei rinforzi veri, soprattutto nel reparto lunghi, prima con “l’altro” Lopez e poi con Pau Gasol. Entrambi gli esperimenti, come sappiamo sono però miseramente falliti, anche se per motivi completamente differenti.
Da una parte, i gemelli Lopez, hanno dimostrato che, nella stessa squadra non possono proprio convivere, dall’altra Gasol è arrivato in Wisconsin svogliato ed infortunato, finendo praticamente ai margini del roster sin dai primi giorni. Con tutto questo negli occhi, Budenholzer ed il suo staff hanno passato un fine estate chiusi in ufficio, cercando di equilibrare le due necessità primarie, profondità e qualità, con le quali convincere anche Antetokounmpo a rinnovare il suo contratto, cosa che a settembre, non era poi così scontata. Risolta la pratica della firma del greco, grazie anche all’arrivo di Jrue Holiday ,che lo stesso Giannis aveva chiesto come suo principale ispiratore, i Bucks si sono comunque ritrovati a doversi allungare e rinforzare, soprattutto dopo la partenza di uno come Bledsoe.
Sono arrivati così anche Dj Augustine e Bobby Portis in una rotazione che però, con una stagione che ha già effettuato il giro di boa, non ha mai realmente soddisfatto. Con Brooklyn che ha continuato ad aggiungere qualità sulla qualità (ultimo arrivato Blake Griffin) i Bucks sono allora ritornati sul mercato, consci che, con la squadra del momento, il secondo titolo della loro storia, non sarebbe mai arrivato. Con un click, ecco allora l’arrivo da Houston di P.J. Tucker, scambiato con Augustine (che nei programmi originali doveva essere uno da 20 minuti a gara) e del talentuoso, ma quasi mai usato D.J. Wilson.
Approfittando dei Rockets che, dopo le pazzie volute da D’Antoni lo scorso anno, stanno smontando l’intera squadra, pezzo per pezzo, Milwaukee si è presa in cambio un giocatore completo in tutto, tra i più sottovalutati dell’intera NBA, che darà un grande aiuto un po’ in tutti gli aspetti. Il suo arrivo ha sicuramente aumentato lo spessore del roster ma non ne ha risolto la profondità di cui dicevamo, anzi, volendo ben vedere, l’ha peggiorata con la partenza di due giocatori in cambio di uno.
Sinceramente, pensando a Brooklyn e Philadelphia, questi Bucks sono ancora indietro e, nei prossimi nove giorni(quanti ne mancano per la chiusura del mercato) dovranno ancora portarsi a casa un paio di pedine, prima fra tutte un play di riserva e poi, magari, un altro lungo da mettere in rotazione per una decina di minuti. Ovviamente dipende dai nomi che nel caso arriveranno, ma solo così Milwaukee potrà giocarsi un playoffs senza finire prematuramente infilzata, come nelle ultime due annate.
Guido Bagatta